IT – Il digital divide delle PMI

Da una domanda molto puntuale di Antonio Savarese su linkedin è nata una interessantissima discussione, che meriterebbe senz’altro un seguito ed un dibattito.

Scrive Antonio:

[…]
Internet gioca un ruolo sempre più importante nell’allocazione dei prodotti, della forza lavoro e di tutti gli altri fattori produttivi, la comunicazione e l’informazione hanno trovato nella Rete un mezzo insostituibile e ormai basilare. Le possibilità offerte dalle ICT sono molteplici e le PMI dovrebbero approfittarne[…]
Purtroppo ogni giorno che passa alimenta il Digital Divide tra le PMI e le grandi aziende in termini di mancanza di accesso e di fruizione delle nuove tecnologie di comunicazione e informatiche.
Qual è il problema? Problema culturale? Mancanza di fondi o cos’altro?

Già, qual’è il problema. Anzi, quali sono i problemi?

Nell’ambito della discussione, che vi invito ad andare a leggere, molti spunti interessanti. Ne cito qualcuno che mi ha colpito (e sottolineo che mi ha colpito, magari perchè non l’approvo affatto!):

A mio parere il problema è prevalentemente culturale, di visione del futuro, di immaginazione creativa. […] In molti imprenditori vige ancora il sinonimo internet – svago (o peggio internet – perdita di tempo).

Pero’ aggiungo che i fondi ci sono, ma la mia esperienza mi dice che molte PMI vogliono fare innovazione soprattutto se paga il contribuente (cioe’ finanziamenti europei, nazionali, regionali, etc).

Chiunque è disposto a innovare e a spendere in novità se questo gli offre un vantaggio competitivo. In Italia, scusate l’amarezza di 25 anni di mestiere, spesso il vantaggio competitivo è di natura clientelare o altro che lascio all’esperienza dei singoli. Perchè allora innovare? Perchè mettere un sito internet se si vende per canali privilegiati? (interessante analisi, è la mia nota.)

Anche io ho postato la mia risposta:

Rispondo direttamente alla domanda originale: qual’è il problema?
Banale: i soldi, l’infrastruttura, una visione dei nostri governanti che rimuova gli ostacoli.
Articolata: in Francia ed in Nuove Zelanda (si, un paese con meno di 5 milioni di abitanti) hanno fatto i conti di quanti miliardi di euro lo sviluppo della fibra ottica nel paese possa apportare (non alle casse dello stato, ma come risparmi dell’efficientamento di molti processi, sia B2B che B2G), mentre da noi se tutto va bene le licenze wimax le prenderanno …sappiamo chi. Ecco il primo problema, ad oggi una piccola azienda localizzata in una valle Bergamasca ha un accesso alle infrastrutture telematiche penoso e costosissimo. Provate a chiedere a chi ci vive e lavora, io l’ho fatto (chiederlo, non lavorarci) e mi sono reso conto che le aziende si trovano di fronte a grossi ostacoli.
Ai costi di connettività “land line” fanno eco quelli di connettività mobile, che sono fra i più alti d’europa. D’accordo, abbiamo un’orografia che non aiuta nell’istallazione di antenne e ponti radio, ma insomma…

Il problema culturale c’è, niente da dire. Ma ad un imprenditore competente e cosciente del proprio business, se fate vedere i vantaggi, numeri alla mano…non c’è motivo per cui non debba seguirvi nello sviluppo di un nuovo canale o di una nuova tecnologia. Anche se fosse puro FUD come il web 2.0. Chiedete ai produttori del Nabaztag.

Credo che la discussione potrebbe continuare, anche qui, per essere aperta a tutti.

4 thoughts on “IT – Il digital divide delle PMI”

  1. immagino avrai visto la mia risposta su linkedin, mi permetto un addendum qui da te.

    1) non mescoliamo i discorsi tra la mancanza delle infrastrutture di base e l’utilizzo delle nuove tecnologie. Non è detto che se ho la banda larga, tanto per essere chiari, utilizzerò i servizi web 2.0; chiaramente se non ho i servizi di base non posso neanche immaginare di sapere cosa sia il web 1.0…

    2) ma è così necessario utilizzare i servizi 2.0? io faccio veramente difficoltà a capire come un imprenditore, illuminato a piacere, possa decidere di investire tempo (e quindi denaro) in servizi web 2.0 like. Anche qui: se non lo fa non innoverà mai e non potrà mai sapere se ne valeva la pena o meno.

    In un libro molto interessante, che parla delle PMI italiane e del loro modello di business, “il volo del calabrone”, la visione data è abbastanza diversa dai commenti che leggo.
    Spesso quelle PMI sono aziende che lavorano in settori “realmente industriali” (tessuti a sassuolo, ceramica a modena, alimentari, energia, edilizia)..

    boh secondo me se facessimo un indagine negli USA, UK o altri paesi analizzando industrie simili non credo che vedremmo un utilizzo di queste tecnologie così diverso da quanto riscontrato qui da noi..

    sono molto sospettoso che il web 2.0 non esista realmente e sia solo una grande operazione di marketing..

  2. Dici bene, non facciamo confusione e non mescoliamo i discorsi. Prima di tutto un’osservazione da ingegnere puntiglioso (quale in genere non sono, lo sai): il web 2.0 non ha bisogno di banda, non di tanta, almeno, ma di bassa latency e possibilmente una commutazione a pacchetto, in modo da avere always on e costi bassi.
    Smarcato questo dettaglio…ti rispondo.
    No, non è assolutamente necessario per le PMI usare i servizi web 2.0, ma il punto della discussione è un altro, a mio avviso. La rete (anche quella 1.0!) offre l’opportunità di sviluppare nuovi modelli di business anche per business “non dot com”, offre l’opportunità di ottimizzare (in un’altro occasione ho scritto “efficientare”, che è orribile ma rende meglio l’idea) una serie di processi. Questo è un Fatto.
    Il tessuto economico italiano è fatto di PMI. E anche questo è un Fatto.
    Le PMI oggi fanno fatica ad accedere ai servizi resi disponibili dalla banda larga! Questo è il fatto più triste! Non ho detto che questo dipenda solo dalla mancanza delle infrastrutture e non credo che sia solo un problema culturale. Lo posso dire perchè ho conosciuto tanti piccoli imprenditori, di varie fasce d’età, e anche quelli che di mestiere impacchettano saponi hanno la “vision” per cogliere opportunità di fare più soldi (o spenderne meno).
    Una nota divertente: l’azienda a cui pensavo commercializza in germania un detersivo col nome di un sistema operativo!

  3. Mi trovo assolutamente d’accordo con Eugenio e ritengo che il fatto che le PMI italiane investano poco, nell’ambito dei processi che migliorano la comunicazione e/o in serivizi capaci di innescare nuovi modelli di business, sia un retaggio solo cultruale e non infrastrutturale.

    Si deve riuscire a sensibilizzare il mondo delle PMI con delle attività seminariali che abbiano un apporto concreto: cioè aiutarli a capire come risolvere i reali problemi che le PMI hanno, spt in termini di comunicazione e di business management.

    Penso sia questa ottica con la quale si debba intedere l’ecosistema web2 orientato al business.

  4. @Daniele, ti rispondo (con colpevole ritardo) dicendo che lavorando in un’azienda che punta sui servizi (anche) web2.0 mi rendo conto della difficoltà nella loro promozione, dovuta principalmente allo shift culturale a cui alcuni clienti devono essere portati. Tuttavia mi rendo anche conto che il meccanismo stesso della “cultura dal basso” fa si che siano gli “operativi” dell’azienda a far percepire ai livelli più alti il valore legato a certi meccanismi di comunicazione oggi ritenuti ancora “non convenzionali”.

Comments are closed.